DISCUSSIONE
Il problema di connettere il
nostro impianto a due strutture diversamente organizzate e con
caratteristiche meccaniche diverse ha focalizzato il nostro interesse.
Se per esempio cerchiamo di incollare un materiale molto rigido
ad uno più elastico come ad esempio una fibbia su una
striscia di pelle, sappiamo che facilmente, per colpa del comportamento
profondamente diverso dei due materiali, il nostro tentativo
è destinato a fallire. Le enormi tensioni che si concentrano
nei margini dell'incollaggio portano inevitabilmente al distacco.
Un altro esempio, se prendiamo un pannello composto da un foglio
superficiale ad esempio di sottile alluminio, ed un foglio di
polistirolo e proviamo ad avvitarci sopra una vite, facilmente
spanniamo il metallo e la vite non tiene più, in quanto
non è adatta a distribuire le sue tensioni anche al polistirolo
sottostante ed è solamente lo spessore del metallo ad
effettuare tutto il lavoro. Ecco, anche se non sembra, spesso
ci troviamo di fronte a queste problematiche in implantologia:
la distribuzione delle tensioni ed il livello di ancoraggio di
un impianto, di per sé rigidissimo, a due strutture ancora
differenti fra loro per morfologia (compatta e spugnosa) ed elasticità:
l'osso corticale e spongioso. Per non parlare poi del loro diverso
metabolismo, della loro capacità di rimodellamento e della
loro vascolarizzazione.
Analizziamo cosa succede quando andiamo a caricare una fixture
posizionata in due modi diversi nella mandibola.
1)Impianto inserito con contatto corticale solamente al colletto
e completamente annegato nella spongiosa.(fig. 6)
Fig. 6 Impianto inserito con
contatto corticale solamente al colletto e completamente annegato
nella spongiosa a cui è applicato un carico verticale.
Notare la deformazione cervicale ad imbuto e la concentrazione
delle tensioni prevalentemente nello stesso punto. Le aree blu
indicano compressioni in un range fra 1,4 e 2,1 MPa, sotto il
livello di soglia. Le aree azzurre compressioni comprese fra
2,1 e 2,8 MPa, pericolo. Le aree verdi indicano valori superiori
ai 2,8 MPa e che raggiungono i 17 MPa, zone di probabile involuzione
ossea. Le aree trasparenti indicano uno stato di tensione ossea,
quindi, in teoria, la condizione ideale alla crescita ossea
.La distribuzione delle tensioni si concentra,
come prevedibile, sulla struttura corticale intorno al colletto,
raggiungendo valori limite che presuppongono il rischio di necrosi
ossea mentre nella spongiosa la diffusione del carico è
quasi trascurabile. In queste condizioni l'impianto ha un livello
di immobilità nettamente superiore ai valori degli elementi
dentari, cosa che contribuisce ulteriormente all'accentuarsi
del carico.
Fig. 7 Simulazione grafica
del posizionamento implantare. Visione in sezione e dall'alto
per evidenziare meglio le aree di contatto. Infatti a parte la
zona del colletto implantare, l'unica corticale in contatto può risultare solamente vestibolarmente e lingualmente alla fixture
per larghezze minime e in modo tangenziale. Solo le zone di contatto
corticale subiscono stress compressivi elevati ed un eventuale
corticalismo apicale conferma lo stesso andamento
Possiamo ipotizzare che lo stress porti ad un rimodellamento
della corticale con formazione di imbuto (fig. 7). Questo evento
porta l'impianto ad un collegamento pressoché solo spongioso
con distribuzione delle tensioni più omogenee, ma soprattutto
distribuite su tutta la superficie implantare. Come primo risultato
si evince che non vengono più superati i valori soglia
della necrosi ossea. L'impianto, in queste condizioni presenta
una mobilità maggiore, in quanto ancorato ad un substrato
più elastico, ulteriore fattore di riduzione dello stress
da carico per un effetto ammortizzante. L'impianto presenta una
mobilità più vicina al dente naturale.
2)Impianto inserito con bicorticalismo,
in quanto si impegna lungo una parete corticale mandibolare,
caso molto frequente nelle creste sottili dove si può giungere a tri e quadricorticalismi per anse in zona apicale.(fig.
8)
Fig. 8 Impianto inserito con
contatto corticale forzato anche lungo il suo asse, tricorticalismo.
Notare come le aree verdi di probabile involuzione ossea siano
significativamente più vaste e che raggiungono il ragguardevole
valore di 253 MPa. Situazione frequente quando siamo in presenza
di cresta sottile.
La distribuzione delle tensioni
si concentra ora praticamente esclusivamente sulle superfici
corticali. La mobilità dell'impianto è ancora più ridotta e quindi accentua il fenomeno. L'area di contatto rimane
comunque molto limitata
Fig. 9 Simulazione grafica
del posizionamento implantare tricorticale. Evidenziazione delle
zone di massimo stress.
Non ci deve trarre in inganno
la figura in sezione, se immaginiamo una veduta dall'alto possiamo
notare che la zona di contatto corticale lungo l'impianto è
limitata all'equatore vestibolare per una larghezza che certamente
non supera il millimetro (fig. 9). In caso di conformazioni implantari
filettate ciò è naturalmente accentuato in quanto
solo la punta dei filetti si impegna nella corticale riducendo
la superficie di contatto. Infatti anche qui i valori delle tensioni
superano il limite fisiologico e possiamo ipotizzare un rimodellamento
non più ad imbuto ma con una progressiva formazione di
deiscenza nell'area di contatto corticale. Non bisogna infatti
dimenticare che la progressiva lisi ossea riduce la superficie
di adesione aumentandone quindi il valore di tensione. Mi spiego
meglio: se applichiamo ad una superficie di un decimetro quadro
una forza di un Kg avremo una distribuzione del carico di 10
g per cm quadro. Ma se la superficie si riduce ad esempio alla
metà 50 cm quadri e manteniamo lo stesso carico, la forza
applicata salirà a 20 g, raddoppierà! Possiamo
quindi immaginare che la formazione di un imbuto proporzionalmente
aumenterà il livello di stress sulle superfici ancora
in contatto, innescando una sorta di reazione a catena caratterizzata
da stress osseo ingravescente. Dal momento che il modulo di elasticità
della corticale è significativamente più rigido
della spongiosa, circa 10 volte, è ovvio che quest'ultima
parteciperà in modo marginale alla diffusione delle tensioni
fino a quando esisterà un intimo contatto fra impianto
e corticale.
D'altronde in (fig. 10) possiamo
notare come sovraccarico osseo visto tridimensionalmente a livello
superficiale corticale assuma il caratteristico aspetto del cratere
da imbuto osseo da noi tutti ben conosciuto
Fig. 10 Modellazione ad elementi
finiti della superficie ossea sotto carico in un impianto con
contatto corticale al colletto, che ben rappresenta gli effetti
del carico. Le aree che vanno dal verde al blu indicano valori
superiori ai 2,8 MPa. Si noti come viene disegnato in azzurro
una forma imbutiforme a cratere nella zona vestibolare al colletto
implantare con valori fino a 10 MPa, il quadruplo del consentito
ingravescente fino a 193 MPa. !
Le aree colorate dall'azzurro
al blu indicano valori di tensione superiori alla soglia di riassorbimento
osseo
Sorge quindi spontanea una domanda:
ha senso cercare forsennatamente il bicorticalismo quando questo
facilmente porterà a fenomeni di involuzione ossea e l'impianto
tenderà comunque a portarsi in una situazione di sola
adesione spongiosa? Pensiamo solamente a quante volte, pur di
mettere un impianto di diametro più grande, siamo andati
ad impattare le corticali vestibolari e linguali, magari rendendole
sottilissime. Questo avviene facilmente data la particolare morfologia
ossea che spesso troviamo in zona mandibolare (fig. 11)
Fig. 11 Foto di sezione mandibolare
(Tillmann) che evidenzia come facilmente possiamo impattare,
o peggio fenestrare nelle corticali durante il posizionamento
implantare se eccediamo nel diametro della fixture.
Che metabolismo potrà
avere un osso così sottile? Inoltre non ci sono studi
che ci indichino le capacità di rigenerazione e vitalità
della sola corticale, sarà in grado quest'ultima di reagire
al nostro atto chirurgico e di generare una osteointegrazione?
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